Papà ha avuto un incidente. E io ho paura, ho paura che sia grave, ho paura di restare senza il mio piccolo grande amore, quello eterno. Quello che con la mamma mi ha donato questa vita, piena zeppa di rancori, solitudine, brutti momenti, ma pur sempre vita, e di vita se ne ha una, una soltanto.
Ho voglia di fare qualcosa, di urlare, sbattere un pugno contro il muro, contro questo destino, contro questa vita, questa vita che non fa altro che complicarmi continuamente, illudendomi, maltrattandomi, pugnalandomi, alle spalle, senza preavviso, senza poterlo neanche intuire. Voglio riprendere possesso, possesso di me, di quella Sofia di una volta, quella con la timidezza nel respirare, nel fiatare, nel solo pensare ad una determinata cosa. Voglio la mia vita, quella piena zeppa di sogni, desideri, amore, sorrisi, follie, voglio la mia vita, quella che non ci ricapiterà mai, quella che è la più bella esperienza della nostra vita. Voglio tornare indietro, di almeno un decennio, a quando ero bambina, priva di responsabilità, aspettative, delusioni, ferite interne, di quelle che non lasciano livido, di quelle che ti spaccano l’anima, il cuore, non una gamba. Voglia di tornare al momento della prima uscita senza genitori, della Prima Comunione, della prima porta sbattuta ai miei, voglia di tornare all’asilo, alle elementari. E penserei a tanto, tanto e tanto ancora a cui vorrei tornare, ma non ci si può tornare, non si può resettare tutto e ricominciare, ricominciare da capo, proprio come quando scrivendo finisci il rigo, metti la virgola e vai a capo. Vai a capo, sì, a capo di una vita da creare, progettare, modellare, capire, sognare, dimenticare. Voglio cominciare il mio nuovo rigo, ma partendo da un punto, di quelli marcati, e cominciare da capo, con la lettera Grande. Ma soprattutto voglio essere io, in prima persona, in prima linea a guardare avanti, la mia strada, la mia gente, il mio sogno, il mio amore, la mia amica, il mio cuore. Sono arrivata in ospedale, terzo piano. C’è mamma seduta in corridoio, il classico corridoio malinconico, quello degli ospedali, di quel verde, che se lo guardi capisci subito di essere lì anche senza saperlo. Mamma è lì, sola, senza un briciolo di forza per un sorriso, che appena le corro incontro, le chiedo cosa è successo, e non ha il coraggio di rispondere, scoppia in lacrime e mi abbraccia. Papà è in coma. Ma ci sono buone probabilità di ripresa. Cerco di consolare mamma e le vado a prendere un thè caldo, di quelli che piacciono a lei, bollenti e zuccherati. Sono vicina alla macchinetta, mi arriva un messaggio: «Principessa sei bellissima, non piangere, sto arrivando ad asciugarti le lacrime, andrà tutto bene. Fidati di me.» Cosa vuol dire “sto arrivando ad asciugarti le lacrime”?
Sta arrivando? Come fa a sapere che sono qui? Chi glielo ha detto?